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LE OFFICINE TEATRALI TELESIANE METTONO  IN SCENA LA TRILOGIA DI ESCHILO

 

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Venerdì  26 Maggio 2017, per la prima volta nella mia vita, ho avuto modo di assistere alla rappresentazione teatrale di una tragedia greca: l’Orestea

di Eschilo, unica trilogia tragica pervenutaci per intero. È stato un lavoro che ha impegnato docenti, alunni ed ex studenti del mio Liceo, il “Bernardino Telesio”, che ringrazio per avermi dato un’ulteriore opportunità di conoscenza e di riflessione. Li ho ammirati tutti per il coraggio che hanno avuto nel mettersi in gioco e per l’impegno profuso, che li ha portati ad ottenere un magnifico risultato. Il regista, Antonello Lombardo, ha sottotitolato l’opera “I fili invisibili di una tela di ragno”; infatti la scenografia riproduceva, in alto, una ragnatela e, in basso, l’ingresso del palazzo reale; lateralmente alle scale due grandi occhi che, a seconda del colore delle luci che li illuminavano, sembravano cambiare espressione. La tela di ragno simboleggiava l’impossibilità degli uomini a sottrarsi al proprio destino, proprio come un insetto che finisce nelle sue trame.

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L’Orestea racconta della funesta storia della famiglia degli Atridi: Agamennone, reduce dalla guerra di Troia, torna ad Argo, accolto trionfalmente dalla moglie Clitennestra, la quale, tuttavia, ucciderà lui e la sua concubina Cassandra insieme al suo nuovo compagno Egisto (cugino di Agamennone). La donna vendica così il sacrificio della loro figlia Ifigenia, immolata da Agamennone, per propiziarsi Artemide durante la spedizione verso Troia. Nel secondo dramma si ha il ritorno di Oreste, figlio dei sovrani argivi, che, esiliato da piccolo, tornato e riconosciuto dalla sorella Elettra, uccide Egisto e la madre per ordine del dio Apollo, ma viene perseguitato dalle Erinni, dee vendicatrici dei delitti tra consanguinei. La questione troverà risoluzione, nel terzo atto, solo grazie ad Atena, che istituirà il tribunale dell'Areopago, deputato a giudicare dei reati di sangue, e assolverà Oreste. Le Erinni diventeranno dee benigne e protettrici della famiglia: la metamorfosi è stata sottolineata dal regista con il cambiamento di colore degli abiti, da nero a bianco. I protagonisti, tutti carnefici, mi sono apparsi, però, come vittime. Agamennone, per esempio, avrebbe potuto non sacrificare la figlia, evitando di commettere un atto, che oggi definiremmo innaturale e inaccettabile; ma questa sua scelta avrebbe offeso il dio Apollo e la flotta non sarebbe salpata; dunque egli fa prevalere il desiderio di gloria sugli affetti. Allo stesso modo Clitennestra che, da madre, non può accettare né perdonare il marito, anche se a guidarlo nelle sue azioni sono stati gli dei: egli è responsabile e deve essere punito. Per questo lo accoglie con il tappeto rosso del trionfo, che, in realtà, allude al sangue, che presto si spargerà nel palazzo. Lo stesso vale per Oreste, che “deve” uccidere la madre, non ha scelta, così ordina Apollo! Anche se non appare convinto, non può tirarsi indietro, ma è pieno di rimorsi.

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Questa trilogia è importantissima, perché segna una svolta epocale nel modo di concepire la giustizia per i Greci e rappresenta un passo in avanti verso una cultura più umana e meno primitiva: la legge diventa uguale per tutti; la giustizia non può essere più vendicativa; la ragione deve prevalere sull’istinto. Tutto questo è descritto proprio nell’ultima scena che si svolge nell’Areopago, dove l’accusa è interpretata dalle Erinni, la difesa da Apollo e la giuria dal popolo. La giuria popolare si divide in due parti esatte e per questo interviene Atena ad assolvere Oreste e a condannare per sempre i delitti di sangue.

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Obiettivo di Eschilo è quello di far emergere l’importanza e la necessità delle istituzioni, ponendo in evidenza gli ingenti danni derivanti dalla vendetta privata, elemento tipico dell’ormai superata civiltà arcaica, a cui si oppone una società in grado di organizzarsi sotto il controllo di Dike, la giustizia. La giustizia umana deve, però, necessariamente essere legittimata dal volere divino e, in effetti, un ruolo di primo piano assumono le divinità, presenti anche fisicamente sulla scena. In effetti, prima del V secolo a.C., i Greci avevano una giustizia di tipo tribale; in base ad essa l’offeso si faceva giustizia da sé. Scorreva sangue dentro le famiglie e tra famiglie in conflitto.
Molte sono le informazioni storiche, che la trilogia eschilea ci fornisce sull’Atene del V secolo. In primo luogo l’importanza del ghenos nella comunità cittadina, valore da tutti riconosciuto e rispettato; l’importanza dei legami familiari, che si manifesta al massimo livello nell’esistenza di divinità atte a punire i delitti tra consanguinei; infine la costante presenza degli dei evidenzia il ruolo che avevano nella civiltà dell’epoca.

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L’opera ci fornisce, inoltre, una rilevante testimonianza di maschilismo. Due in particolare i momenti in cui esso emerge: nella scena del matricidio, dove Oreste, di fronte alle suppliche della madre, che parla della solitudine di una donna senza il marito, difende suo padre Agamennone, che fatica per la casa e per chi, come lei e le altre donne, se ne stanno tutto il giorno sedute a far poco; e, poi, durante il processo in cui le stesse divinità Apollo e Atena sembrano confermare la prevalenza dell’uomo sulla donna: Apollo afferma, infatti, che la donna è solo portatrice del seme impiantato dall’uomo, l’unico degno dell’appellativo di genitore e di questo è riprova la stessa Atena, che non contraddice tali affermazioni. La visione di questa tragedia mi ha lasciato un profondo senso di tristezza. Mi sono chiesto e mi chiedo come sia possibile che la natura degli uomini dal V sec. a.C. ad oggi non sia cambiata. Sono mutati certamente gli scenari, i mq delle case, la composizione familiare, il modo di vestire, la lingua parlata, ma non sono cambiati i sentimenti che ci spingono a determinarci. L’insegnamento, che ne ho tratto, è quello che ogni nostra scelta, ogni nostro comportamento produce un effetto, sia esso positivo o negativo, non solo nei nostri confronti, ma anche nei riguardi di tutto quanto ci circonda; per questo dobbiamo pensare prima di agire, azionare il cervello prima di parlare, perché è vero che la vita, a volte, è imprevedibile, ma è anche vero che spesso è una scienza certa, come una formula matematica. È stato veramente incredibile aver constatato come, in una rappresentazione composta oltre duemila anni fa, possiamo ritrovare elementi di riflessione che riguardano l’uomo di ogni luogo e di ogni tempo; e, se ci pensiamo, il problema dell’amministrazione della giustizia, della cattiva giustizia e della giustizia negata, è il protagonista dei nostri tempi.

                                                                                                                                                               Massimo Lupo,  I A