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IL RESOCONTO DI UNA SCELTA.

alessandro

 

La concezione che ho di me oggi non è per nulla paragonabile a quella che avevo due anni fa quando ho messo piede per la prima volta nella mia classe.

Posso dire di essere cambiato tanto da allora e scegliere la sezione del Cmbridge International è stato senz’altro di immane importanza e soprattutto di grande aiuto.

Ricordo ancora vividamente i pomeriggi precedenti alla mia iscrizione in cui (in maniera talvolta accesa) discutevo con mia madre su quale fosse la migliore strada da prendere e quale il percorso didattico più completo da seguire.

Naturalmente, all’epoca avevo la testa obnubilata da pensieri, dubbi e incertezze che con grande impegno sono riuscito a dissipare. Prima di tutto, vi era la paura di andare incontro a qualcosa di terribilmente accattivante e innovativo ma allo stesso tempo estremamente spaventoso. Se a ciò, poi, si aggiungeva il fatto che di inglese avessi delle basi che, per quanto solide, potevano non risultare all’altezza del corso, comprendere il mio sconforto risulta alquanto naturale. Non poche sono state le sere in cui ho avvertito la necessità di parlare con me stesso e domandarmi cosa davvero volessi dalla mia vita e quali opportunità avrei dovuto saper cogliere. Non ricordo esattamente quando, però ricordo che un giorno ho sentito di doverlo fare o, quantomeno, di doverci provare.

Quella fu un’estate turbolenta. Non vedevo davvero l’ora di iniziare, di incontrare i nuovi compagni e di sperimentare le nuove materie con una docente madrelingua. Insomma, era come se un mondo inesplorato stesse aspettando solo me per dare il via a quella che sarebbe stata l’avventura più bella della mia vita.

Forse può sembrare buffo, ma uno degli aspetti che più hanno caratterizzato il primo anno al Cambridge è stata la mia professione da amanuense. Sì, proprio così.

Ogni volta che avevamo lezione, riempivo pagine e pagine di decine di quaderni con parole oscure, costrutti grammaticali minacciosi e modi di dire spesso intraducibili. Ogni giorno tornavo a casa, aprivo quei quaderni e con la sfilza dei lemmi che avevo annotato la mattina in classe mi inventavo delle storie che potevano avere senso o meno, ma che di certo mi aiutavano a contestualizzare il tutto.

Altra caratteristica del primo anno fu il fatto di essere un uditore silenzioso. Prendevo appunti e seguivo tutte le lezioni ma non interagivo mai in lingua a meno che non mi venisse esplicitamente richiesto dall’insegnante.

Questo è un lato che ho saputo abilmente smussare nel corso del tempo, ma comprendo come parlare una lingua di cui non si ha la piena padronanza possa sembrare spaventoso per un ragazzino di appena tredici anni.

Un’altra grande difficoltà fu sviluppare le capacità di ascolto, non tanto in classe quanto a casa ascoltando materiale in lingua come video su YouTube o film e serie TV in inglese. Anche lì c’è stato tanto impegno e tanta dedizione, tanto amore per la lingua e la voglia di mettercela tutta per ottenere grandi risultati.

Il primo anno dunque è volato così, lasciandomi sicuramente arricchito ma ancora con molto lavoro da fare.

Nell’estate successiva ho scaricato un’applicazione assai valida ed efficace che mi ha cnsentito di entrare in contatto con ragazzi e ragazze provenienti da ogni parte del mondo che desideravano ardentemente apprendere l’italiano e che potevano, in cambio, darmi una mano con l’inglese.

Quella è stata la svolta più grande della mia vita. Infatti, non solo avevo l’opportunità di perfezionare il mio inglese ma anche di conoscere persone meravigliose con le quali ho instaurato un bellissimo rapporto.

Il progresso era continuo, imparavo qualcosa di nuovo ogni giorno ed immagazzinavo tutto ciò che il mio cervello era in grado di trattenere in maniera più o meno precisa.

Non so cosa mi permettesse di fare ciò però credo che alla base ci fosse un obiettivo ben preciso, ossia di saper parlare l’inglese correttamente e in modo spontaneo e naturale.

Il secondo anno è stato di gran lunga meno complicato sotto alcuni punti di vista. Avevo già consolidato la grammatica e possedevo una discreta conoscenza del vocabolario, ma mi mancava ancora un tassello: la pronuncia.

Poco tempo fa mi è capitato di riascoltare dei file audio di due anni fa in cui parlavo inglese. Non dico che la pronuncia fosse terrificante, però ho avuto modo di constatare quanto ci fosse da migliorare e soprattutto quanto io sia migliorato ad oggi.

Si è trattato di una vera e propria maratona per me. Ascoltavo madrelinguisti parlare in inglese e cercavo di imitare il loro accento il più fedelmente possibile diventando compositore delle sinfonie più bizzarre e ogni tanto cacofoniche.

Ho fatto anche molti esercizi di pronuncia davanti allo specchio e talvolta ricorrendo all’ausilio di una cannuccia per far sì che denti e lingua fossero posizionati correttamente. Molti mi descriverebbero come un folle, e forse non avrebbero nemmeno tutti i torti, però è anche questo il bello di imparare una lingua: rendere l’apprendimento dinamico e divertente a modo proprio, magari anche in modo poco convenzionale.

Quando ripenso a quei momenti, non riesco a far a meno di sorridere.

A un certo punto del mio percorso, potevo dire di aver raggiunto il mio obiettivo. Conoscevo bene la lingua, riuscivo a farmi capire e a capire i nativi in molteplici varietà di inglese senza sforzo eccessivo e soprattutto leggere libri, ascoltare musica e guardare film in lingua originale non appariva più come qualcosa di estraneo, anzi diventava sempre più parte della mia vita di tutti i giorni.

Quindi ho deciso di mettermi alla prova. Un’altra volta.

Verso metà anno scolastico sono partito per due settimane in Irlanda. Avevo l’impellente urgenza e il bisogno di vivere un po’ all’estero e di stare a contatto con la lingua e con la gente del posto ventiquattr’ore su ventiquattro.

La mia vita da allora è cambiata in maniera irreversibile. È come se le ceneri sotto le quali avevo sepolto la mia vita, fossero state all’improvviso spazzate via dando al fuoco l’ossigeno di cui aveva bisogno per bruciare con decisa determinazione. Non ho parole per descrivere come è stat l’esperienza all’estero.

Ho conosciuto persone meravigliose, ho avuto modo di innamorarmi di un paese e di una cultura eccezionali vivendo ogni singolo momento e catturando nella mia mente fotografie di ogni luogo, di ogni cena, di ogni cosa che mi trasmettesse delle emozioni. Il ritorno fu piuttosto tragico, in realtà.

Le memorie che ancora ora custodisco gelosamente dentro di me a volte sembrano le sfumature di quella dolorosa nostalgia tipica di ogni post-esperienza indimenticabile. Questa esperienza, per l’appunto, mi ha consentito di crescere parecchio, di capire tante cose su di me e sugli altri, e di osservare il mondo da una nuova prospettiva, con più ampie vedute ed orizzonti illimitati.

Il terzo anno è iniziato da poco, anzi da pochissimo. Ancora non ho molto da scrivere però sono sicuro che anche quest’anno rappresenterà uno splendido ed eclettico capitolo della mia vita. Oh, quasi dimenticavo. Qualche giorno fa ho sostenuto il mio primo esame Cambridge! È stato davvero un turbinio di emozioni travolgenti e mistiche che hanno reso il tutto ancora più surreale!

Ma forse, per parlarne in dettaglio, servirebbe un articolo a parte…

Posso comunque dire di essere soddisfatto di me stesso e sono veramente grato per la possibilità che mi è stata offerta anche se, come in ogni cosa realizzata dagli uomini e quindi imperfetta e perfettibile, piccoli intoppi e disguidi non sono mancati. Posso dire di essere una nuova persona adesso.

Non ho paura dei cambiamenti e, nel caso in cui essi mi intimoriscano, cerco di affrontarli sempre con audacia e consapevolezza.

Sono contento di essere diventato quello che sono.

E sono contento di esserlo diventato qui, al Cambridge.

Alessandro Mannelli,

III A Cambridge

 

English version

My honest experience at Cambridge

 

The concept I have about myself now isn’t in the least comparable to the one I used to have when I first set foot in my class.

I can say that I’ve considerably changed since then and choosing this course was undoubtedly of great importance and did mean a lot to me.

I can still vividly remember the afternoons prior to my enrolment when (at times a bit sharply) I would argue with my mother about which the best path to follow would have been and which course could have given me the most complete preparation.

Naturally, back then my head was full of thoughts, doubts and uncertainties which I could dispel with great effort. Firstly, I was frightened of facing something extremely enticing and innovative but at the same time terribly scary. If then we add the fact that my English skills could prove to be not enough for the course, no matter how solid they were, understanding my dejection seems quite natural.

I had many nights in which I felt the urge of talking to myself and wondering what I exactly wanted from my life and which opportunities I should have been able to seize. I don’t remember exactly when, but I do remember that one day I had the feeling I had to do that or, at least, to give it a go.

That was a stormy summer. I couldn’t wait to start school, to meet all of my new classmates and to try out the new subjects with a native teacher.

Basically, it was as if an unexplored world was awaiting me to give a start to what would have proved to be the best adventure of my life.

This may sound funny, but one of the aspects that mostly characterised my first year at Cambridge was my amanuensis full-time job. Yeah, precisely.

Every time we had classes, I would fill in pages and pages of dozens of notebooks with obscure words, intimidating grammar structures and crazy idioms being a real struggle. Every day I would go back home, open those notebooks and make up some silly stories with the heap of vocabulary I had written down in the morning, trying to contextualize the whole thing.

Another main feature of the first year was being a silent listener. I would take notes and follow all classes, but I didn’t really interact using the language unless I was asked by the teacher to do so.

This is something I’m slowly getting rid of, but I can understand how scary speaking a new language you’re not totally confident with must be for a 13-year-old.

Another obstacle was developing my listening skills, not really in class but at home listening to stuff in English such as videos on YouTube or movies and TV series. And there was me again struggling, doing my best and giving it my all to get brilliant results.

That’s how the first year flew by, leaving me definitely enriched but still with a lot of work to do.

The summer of that very same year, I downloaded an effective and valuable app that enabled me to get in contact with guys from all over the world who desperately wanted to learn Italian and who, in return, could give me a hand with my English as well.

That was the biggest turn my life could ever take. As a matter of fact, not only had I the opportunity to perfect my English but I could also meet wonderful people I have struck up special relationships with.

My progress was steady, I learnt something new every day and I stored anything that my brain could retain in a roughly precise manner.

I’m not too sure about what enabled me to do such a thing, but I think I was moved by a well-defined aim, that is being able to speak English properly and fluently.

My second year was far less complicated from some points of view.

I had already consolidated my grammar and had a fairly good knowledge of the vocabulary, but I still missed one piece: pronunciation.

Little time ago, I happened to listen to some audio files dating back to several years before of me speaking English. I’m not saying that my pronunciation was awful, but I realised how much I had to improve on and especially how much I’ve actually improved.

It was like a marathon for me. I would listen to native speakers speaking English and try to imitate their accent as best as I could becoming the composer of the weirdest symphonies on planet Earth.

I also practised a lot through some pronunciation exercises, sometimes even using a straw to make sure that my teeth and tongue had the right position in my mouth. Many would describe me as mad, and perhaps they’re not completely wrong but this is the good of learning a language: making learning dynamic and entertaining your own way, maybe in an anticonventional manner too.

When I think of those moments, I can’t help but smile.

At a certain point along the way, I could say I had fulfilled my goal.

I could speak the language well, understand the others and let the others understand me in several varieties of English without too much effort and, most of all, reading books, listening to music and watching movies in the original language no longer seemed like something foreign to me, on the contrary it became an integral part of my every-day life.

So, I decided to test myself. One more time.

Towards the middle of the year I flew to Ireland for a fortnight. I had the urge of living abroad for a while to be in contact with the language and the locals 24h a day.

My life has irreversibly changed since then. It is as if the ashes I had buried my life in had been suddenly blown away giving the fire the oxygen it needed to burn powerfully. I’m lost for words to describe how my experience abroad felt like. I got the chance to meet some wonderful people, I fell in love with a country of exceptional culture taking in every single moment and saving in my mind pictures of any place, any dinner, anything that made my heart pound with strong vibrations. Coming back was quite tragic actually.

The memories that I jealously keep inside of me, sometimes seem like the nuances of that painful nostalgia typical of any coming back from an unforgettable experience. This very experience allowed me to immensely grow, to understand a heap of things about myself and the others and to see the world from a new perspective with unlimited horizons to pursue.

The third year started little time ago, or rather it has just started. I still don’t have much to write about but I’m sure that this is as well going to be a splendid and eclectic chapter of my life. Oh, I almost forgot. Some days ago, I took a Cambridge exam for the first time ever! Really it was a whirlwind of overwhelming and mystic feelings that made it all even more surreal!

But perhaps, to go into details, we would need another article…

However, I can say that I’m satisfied with myself and I’m incredibly grateful for the opportunity I’ve been given even though, as in anything made by humans and thus imperfect and perfectible, little mishaps have also been there.

I can say that I’m a new person now.

Changes do not scare me and in case they do I always try to tackle them with tenacity and awareness.

I’m immeasurably happy that I’ve grown into the person I am right now.

And I’m happy that it was here, at Cambridge.

Alessandro Mannelli,

III A Cambridge