testata grande2

           UNA FINESTRA SULL’AUREA POESIA DI ALCUNI LIRICI GRECI

LIRICI5

 

La sensibilità è un dono. Non la si acquista col tempo, non la si può imparare. Ci si nasce e basta. E mi piace pensare che la maggior parte dei greci avessero la sensibilità nel sangue, nel gene: un intero popolo con una sensibilità sopra la media. Ciò ha fatto sì che loro notassero quello che gli altri non vedevano, regalandoci poesie e pensieri (di cui ora, purtroppo, rimangono frammenti) immortali. 

Ma non tutti avevano una stessa visione del mondo.

Alceo, per esempio, con una vita scandita da lotte politiche, dedicò le sue opere alla difesa della rigida oligarchia che vigeva allora, e una più piccola parte a temi gnomici, erotici e del simposio. Era un uomo fermo nelle sue idee, conservatore a tal punto che avrebbe fatto sbiancare perfino Cicerone. Questo viene tradotto nella sua poesia con una forte tensione espressiva, ricca di metafore ed immersa in una dimensione spettacolare. L’esempio più lampante è il frammento 208a Voigt, laddove utilizza l’immagine della nave in tempesta come simbolo di disordine civile, intrecciando il piano realistico con quello allegorico: sballottati dalle onde (interpretabili come guerrieri), Alceo e i suoi compagni sono travagliati dalla tempesta, metafora per intendere la sua eteria accerchiata dai nemici politici. Pensiamo, inoltre, al frammento 140 Voigt, dove descrive nel dettaglio le armi contenute in una grande sala: ne sottolinea la lucentezza, il materiale, la maestosità, l’eleganza, facendoci quasi dimenticare che si tratti di strumenti da guerra, creati per uccidere. Ma il frammento più famoso è, senz’ombra di dubbio, il distico dove esulta per la morte di Mirsilo, un tiranno contro cui il poeta aveva combattuto a lungo. L’eccessiva gioia unita al cinismo rendono il componimento uno dei più rappresentativi di Alceo. Ci verrebbe da pensare che un uomo di tale mentalità non apprezzasse chi possedeva una visione differente, ma non è così: è difatti famoso quello che doveva essere un carme dedicato a Saffo, verso la quale prova un profondo rispetto, nonostante i loro modi completamente diversi di osservare il mondo, e ciò lascia intendere l’estrema intelligenza dell’autore. Chi può dimenticare l’immagine dei capelli di viola e del sorriso dolce come il miele della poetessa?

L’opposto di Alceo è forse il poeta Anacreonte. Questo, essendo uomo di corte, predilige tematiche definibili erotico-simposiali, laddove l’eros è espresso perlopiù in chiave omoerotica ed il simposio assume invece valore di fenomeno “di palazzo” e di puro intrattenimento. Ma sminuire i suoi componimenti ad un semplice erotismo lezioso è un grosso errore: difatti Anacreonte ha un ideale etico ed estetico ben preciso. Viene etichettato come “l’autore della grazia delicata e raffinata”, confermata questa cosa dal suo stile semplice, che nasconde spesso strutture elegantissime; a mio parere, però, la sua è una visione molto potente dell’amore, caratterizzata da una sfrenata passione, quasi al limite dell’ossessione (e, talvolta, della volgarità) verso l’oggetto del suo desiderio. Eros, inteso come divinità, è un’entità metamorfica nelle sue poesie, che può assumere diverse forme, ma sempre pronto ad attaccare il poeta, facendolo divenire folle d’amore. Uno dei manifesti della sua poetica è il frammento 78 Gentili, dove la metafora della puledra-ragazza (poi ripresa da successivi autori), la quale dev’essere ancora “domata”, è l’apoteosi della sinuosa sensualità che il poeta vuole trasmettere. 

Passando alla lirica corale, ovvero a carmi pensati per essere eseguiti da un coro di fanciulli o fanciulle, in una performance che poteva comprendere anche passi di danza, non possiamo non citare il grande Alcmane. 

Egli era perfettamente inserito nella realtà pubblica spartana della seconda metà del VII secolo a.C., prima che la città “progredisse” in una cultura militaresca. Alcmane cantò le festività con i suoi “parteni” ovvero canti per cori femminili. Il componimento più ampio e antico è il famoso “Partenio di Agidò e Agesicora”: esso è un inno al passaggio dall’adolescenza all’età adulta delle due splendenti ragazze (delle quali viene celebrato una sorta di matrimonio), nonché manifesto della sua poetica. La prima parte del frammento narra il mito degli Ippocoontidi, invece la seconda si focalizza sulle due figure femminili prima menzionate. La poesia ha un aspetto sentenzioso, tipico del poeta, e porta alla luce la bellezza delle fanciulle, in particolare di Agesicora, la quale è la guida del coro. Tuttavia, il frammento più famoso di Alcmane è il suo cosiddetto “Notturno”. In questa poesia vediamo il vero talento del poeta, il quale descrive uno scenario notturno caratterizzato dalla quiete, elencando minuziosamente ogni angolo della natura, avvolto da quest’atmosfera di ampio respiro, e nella quale la voce narrante, seppur non citando le proprie emozioni, lascia trasparire un sentimento di liberazione davanti alla flora e alla fauna addormentata, sopraffatta dal suo incanto. La bellezza e importanza di questo componimento è tale da aver ispirato moltissimi “notturni” della tradizione letteraria successiva: da Euripide, passando per Virgilio e arrivando a Leopardi, la notte è la perfetta compagna (se non protagonista stessa) dei più importanti passaggi di tantissime opere. Essa è il momento della giornata più affascinante che esista, che ha sempre portato l’uomo a riflessioni di stampo esistenzialistico: non è un caso, infatti, che Manzoni si  concentri particolarmente sulle notti vissute dai personaggi de I Promessi Sposi, in quanto sono simbolo dei loro cambiamenti e tormenti interiori.

Il poeta Simonide, invece, si cimentò in tutti i generi della lirica corale, ed è famoso per essere stato un poeta su commissione. La sua poetica si differenzia molto da quella dei precedenti autori citati, in quanto costituita da un personale pessimismo, unico in questo genere letterario: egli ritrae la vita nella sua precarietà e l’uomo nei suoi limiti naturali. Uno dei carmi che rappresenta meglio il suo mondo concettuale è certamente quello del mito di Danae e Perseo. La poesia, però, si concentra solo sul momento in cui Danae, rinchiusa in un’arca, è sballottata dalle onde e, tenendo stretto il piccolo, esprime la sua terribile angoscia: l’uso di una grande ricchezza di mezzi espressivi e il discorso diretto di Danae che si rivolge al figlio rendono il brano drammatico ed estremamente intenso ,nel dipinto della tristezza e della paura di una madre sconsolata, in balia del destino, rappresentato dal mare. In un altro famosissimo carme, Simonide loda, con uno stile solenne e tipicamente epigrafico, coloro che morirono nelle gole delle Termopili, facendo venir fuori un altro aspetto importante della sua concezione della realtà: l’idea che il valore militare, che può essere coraggio sovrumano, permane in eterno e non ammette riserve. 

Tornando sul tema amoroso, facciamo, infine, un omaggio ad Ibico, poeta vissuto in quella che è l’attuale Reggio Calabria. Egli, apprezzato perfino da Cicerone stesso, è ricordato in particolare per il frammento 286 Davies, di sublime bellezza. La parte iniziale della poesia descrive un giardino sacro alla ninfe nella sua serena grazia, per poi cambiare completamente tono a metà componimento: l’animo di Ibico è, infatti, costantemente posseduto da Eros, in ogni stagione, in ogni momento, con una potenza devastante per il poeta. Il frammento si basa, appunto, sull’antitesi di queste due situazioni; d’altronde, niente può pacificare l’animo tormentato da pene d’amore. E ciò i Greci furono i primi a sentirlo con forte consapevolezza, a capirlo, a scriverlo.    

                                                                BEATRICE BERARDINELLI, II A QUADR

 

Articolo proposto dalla Prof.ssa  MARIA FELICITA MAZZUCA