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DALLA SUGGESTIONE DI UNA SIMILITUDINE ALLA VISIONE DEGLI UOMINI COME PELLEGRINI SULLA TERRA

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La similitudine fra gli uomini e le foglie ha avuto un’enorme fortuna nella produzione letteraria fino a diventare un topos, ricorrente in largo numero di opere dall’antichità fino ai nostri giorni.

corso del tempo il paragone è stato ripensato con l’introduzione di continue varianti per esprimere la precarietà della vita.

Nella letteratura greca il confronto fra gli uomini e le foglie compare per la prima volta in un famoso passo dell’Iliade, in cui il licio Glauco e il greco Diomede rinunciano al combattimento, non appena scoprono di essere legati da vincoli di ospitalità; ed è proprio Glauco che con tono saggio e malinconico pronuncia il celebre paragone fra le generazioni dei mortali e le foglie.

 Il poeta Mimnermo riprende il passo di Glauco e Diomede e, paragonando la vita dell’uomo alle foglie che crescono forti, ma cadono rapidamente, avvia una dolorosa riflessione sulla condizione umana, riconoscendo il ciclo crudelmente breve della vita individuale: per la breve durata della giovinezza, l’uomo può gioire; poi, raggiunta la vecchiaia che porta con sé numerosi mali, è meglio morire. Mimnermo sceglie come temi principali del testo Come le foglie la fugacità della giovinezza, durante la quale l’uomo vive in una dimensione di gioia e di incoscienza, e l’incombere della vecchiaia, che costringe l’uomo a una vita desolata e squallida.

Giacomo Leopardi ricorre all’immagine delle foglie nella lirica Imitazione, nella quale si descrive il destino della foglia di rosa e di alloro, che simboleggiano l’amore e la gloria e diventeranno nulla nel momento della morte. Probabilmente proprio grazie a questa poesia riusciamo a renderci conto di quanto siamo piccoli davanti alla morte, che arriva senza preavviso e spazza via gli animi come le foglie cadute dagli alberi in un pomeriggio ventoso d’autunno.

Molto celebre è la lirica Soldati di Giuseppe Ungaretti, che fa riflettere sulla condizione di precarietà che accomuna tutti gli uomini. I termini “foglie” ed “autunno” vengono infatti utilizzati per esprimere la provvisorietà della condizione umana sospesa tra la vita e il nulla. E l’uso della similitudine uomo-foglie si addice perfettamente al contesto, riuscendo a trasmettere la caducità della vita nelle trincee.

Un’interessante rilettura della similitudine si legge ne Il Consiglio d’Egitto di Leonardo Sciascia:

Le persone “comuni”, come foglie, scendono a marcire nella terra prive di voce, senza lasciare traccia di sé nella storia; e anche i “re, i viceré, i papi, i capitani, i grandi insomma…” che si pretendono resi immortali dalla penna dello storico, in realtà, come rami segati ad uno ad uno, come lo stesso albero, dureranno forse un po’ di più, ma finiranno comunque in fumo. 

In un dialogo fra l’abate Vella e il suo aiutante Cammilleri, compare l’immagine delle foglie; tuttavia in questo caso il fulcro del paragone è la vanità della Storia, un’impostura che illude “i popoli, le nazioni, l’umanità vivente” di poter eternare la propria vicenda, ma non vi è nulla di più caduco. Prima di aver ascoltato la poesia di Ungaretti, non avevo mai riflettuto su questo legame tra uomini e foglie. Le foglie riescono a riflettere quello che è il ciclo della nostra vita e che ogni uomo è costretto a compiere, prima di arrivare alla tappa successiva. Inoltre questa similitudine mostra la fragilità della vita umana che, come le foglie, può essere da un momento all'altro portata via dal "vento", e la ciclicità della vita sia in natura sia nell'esistenza dell'uomo. Tramite questa similitudine sono riuscita a cogliere un importante insegnamento: vivere al meglio ogni giorno e non soffermarci su cose futili, ma su qualcosa veramente importante, perché non sappiamo quando la morte sceglierà di incombere su di noi, privandoci di questa vita terrena, che molte volte viene infangata e sprecata; un invito a smuoversi e a compiere qualcosa di vantaggioso per se stessi e per la comunità nella quale si vive, come alcune persone stanno facendo in quest’ultimo periodo. Tuttavia queste non sono riuscite a essere d’esempio per tutti e non badano al bene altrui – che è anche quello proprio – ma si concentrano sui propri interessi, strettamente personali.

                                                                                                     Laura AzzinnaroII A Quadriennale

FRAGILI FOGLIE

Le foglie, specchio della comune condizione umana, compaiono frequentemente nella produzione letteraria, a tal punto da diventare un topos, un luogo comune, con l’intento di esprimere la caducità e la brevità della vita. Il confronto fra gli uomini e le foglie compare per la prima volta in un passo dell’Iliade, che vede protagonisti il licio Glauco e il greco Diomede, il quale, rivolgendosi al primo afferma: 

Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini;

le foglie alcune ne getta il vento a terra, 

fiorente le nutre al tempo di primavera; 

così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua.  

Siamo esseri passeggeri su questa terra e, proprio come le foglie, cadiamo, disperdendoci nel vento, mentre altri nascono, anch’essi accomunati dall’ineliminabile condizione mortale. Quest’ultima ci ricorda la necessità di vivere pienamente gli sguardi, le carezze, le soddisfazioni che la vita ci riserva, sapendo riprendere le forze, anche dopo le peggiori cadute, simbolo della fragilità di cui siamo succubi. È con Mimnermo che le foglie non esprimono più l’avvicendarsi del ciclo naturale delle generazioni, ma la caducità di una pienezza, che nell’uomo è quella della giovinezza e delle gioie dell’amore. Il poeta delinea, infatti, i ritratti della fugacità del fiore degli anni, durante i quali l’uomo vive una dimensione di gioia e di incoscienza e l’incombere della vecchiaia, che lo costringe a una vita desolata e squallida, per la quale è meglio morire che vivere, in quanto la vecchiaia è foriera di mali. Proprio il male intacca la felicità primitiva dell’uomo, che si ritrova di fronte la morte, perché dalla giovinezza si passa improvvisamente alla vecchiaia, come dalla luce al buio senza un crepuscolo. È così labile il passaggio dall’una all’altra che abbiamo il dovere di assaporare con moderazione e, nello stesso tempo, con  energia i momenti felici della nostra esistenza e farne il ricco bagaglio della bellezza di cui siamo portatori. Essa può essere deturpata dalle intemperie quotidiane, dalle quali, per noi umani, emblemi di fragilità eterna, risulta difficoltoso difendersi. Tale debolezza tradotta in caratteristica esistenziale dell’umanità, si può riconoscere nel quadro Piccolo albero nel tardo autunno di Egon Schiele, nel quale l’albero spoglio rappresenta la vulnerabilità umana e l’incapacità di restare indifferenti dinanzi al male, che ci scuote, cercando una risposta decisa e senza esitazione. Il paragone ritorna nell’Inferno di Dante, precisamente nel momento in cui le anime si trovano sulla riva dell’Acheronte:

Come d'autunno si levan le foglie

l'una appresso dell'altra, fin che 'l ramo

vede alla terra tutte le sue spoglie,

similmente il mal seme d'Adamo

gittansi di quel lito ad una ad una,

per cenni come augel per suo richiamo.

Così sen vanno su per l'onda bruna,

e avanti che sien di là discese,

anche di qua nuova schiera s'auna.

Qui il poeta guarda attento e commosso all’eterna e dolorosa vicenda mortale dell’uomo e avvolge il passo di un senso profondo e di forte malinconia. Giacomo Leopardi, invece, riprende l’immagine delle foglie nella lirica Imitazione, ispirata a La Feuille di Arnault. La povera foglia è fragile, debole, in balia del vento come noi viventi tra le prove del nostro cammino. A causa del vento si muove di continuo come un pellegrino, il cui destino è comune a entrambi e non trova un approdo sicuro. Il suo muoversi incessante ricorda i continui tentennamenti e le insicurezze dell’uomo che lo rendono più forte, ma sono causa di dolore. Questo sentimento universale traspare, in gran misura, nella lirica Soldati di Giuseppe Ungaretti, in cui, partendo dall’esperienza della guerra, si riflette sulla precarietà che accomuna l’umanità e sulla provvisorietà della condizione umana, sospesa tra la vita e il nulla. I soldati, infatti, si trovano in una situazione così incerta e minacciata, da assomigliare a quella delle foglie, la cui sorte è appesa a un filo sottile. Tuttavia le foglie, intrinseche di significati nascosti, non sono solo l’immagine della caducità e della fine ineluttabile dell’esistenza, ma, come è possibile constatare nella poesia Foglie morte di Nazim Hikmet, rappresentano i piaceri della vita. Nonostante vedere cadere le foglie dagli alberi, susciti malinconia e tristezza, il poeta vede in queste fatti positivi e lieti che aumentano il contrasto con il suo stato d’animo, il quale traspare dal componimento e permea i versi. È vero, siamo simili a foglie girovaganti tra i parchi, ma qualcosa ci rende speciali e unici: i sentimenti. Per la loro presenza siamo umani e dobbiamo portare avanti nuove idee nel fugace cammino che percorriamo con enorme tristezza ma, in fondo, con estremo vigore.

                                                                                                                    Alice Rizzo, II A Quadriennale

 

POVERA FOGLIA FRALE...

Foglie….un elemento vegetale che ci circonda e che non abbiamo mai osservato con attenzione…

Dietro le innumerevoli venature, il loro mutare continuo di colori e la fine a terra si cela quella che è la fugacità e la brevità della vita dell’essere umano.

Le considero narratori onniscienti, esterni alla nostra storia ma che attraverso il loro ciclo vitale descrivono quella che è la visione dell’uomo come pellegrino sulla terra. Pellegrino significa, infatti, viandante, persona che va errando qua e là fuori dalla propria città, che si sposta frequentemente da un luogo all’altro. Ogni uomo, che calca il suolo di questo pianeta Terra, mentre vive sta, infatti, percorrendo un viaggio senza ritorno. L’uomo non ha qui la sua stabile dimora, ma vi soggiorna come straniero e pellegrino. Allo stesso modo le foglie, dal momento in cui germogliano, compiono un breve tragitto che le renderà solo “ospiti” sulla pianta.

La similitudine tra uomini e foglie è stata sempre molto utilizzata dagli autori succedutisi nelle varie epoche; esempio emblematico si riscontra sicuramente nel libro VI dell’Iliade dedicato all’ ospitalità, in particolar modo all’eroe troiano Glauco e a quello greco Diomede. Omero, o chi per lui, in questo passo, utilizza la tecnica della similitudine, per evidenziare la fragilità della stirpe degli uomini.  Il poeta così, accostando dei personaggi a immagini a noi familiari, in questo caso quella delle foglie, riesce a penetrare nell’animo del lettore e ad esprimere con maggiore chiarezza il suo pensiero. Dopo il racconto di Diomede inerente ai rischi a cui una persona va incontro, quando affronta una divinità, il figlio di Ippoloco così esordisce: <<Tidide magnanimo, perché mi domandi la stirpe? Come stirpi di foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva fiorente le nutre al tempo di primavera; così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua…>>.

L’immagine, che questi versi ricreano, le foglie secche a terra, simbolo di vita vissuta, combattuta che è volta al termine, rimanda alla fragilità e alla ciclicità della vita umana, che come i vegetali può essere, da un momento all’altro, portata via dal vento. In questo modo nuovi boccioli si rigenereranno durante la stagione primaverile, per riempire nuovamente la pianta, così come le molteplici morti degli uomini e la nascita di nuove generazioni.

Omero sembra individuare qui, nel legame con gli antenati e la stirpe, una dimensione più profonda dell'uomo nel tempo. La brevità della vita, che rende l’uomo protagonista, scandisce il tempo del suo percorso sulla Terra, all’interno del quale è chiamato ad approfondire il senso del valore, per raggiungere la propria meta. I poeti, nelle varie epoche in cui sono vissuti, hanno utilizzato questa similitudine, per evidenziare diverse sfaccettature dell’essere umano: ordine, precarietà,  moltitudine… Sono, però, poi sempre giunti allo stesso epilogo: quello che ad ogni vita succede una morte, la quale, come la notte che determina la fine del dì, definisce il viaggio precario dell’uomo.                                               

                                                                                                            Eleonora Rizzo, II A Quadriennale

Articoli inviati dal Prof. Flavio Nimpo