UN FILM MAGNIFICO ED UNA SUPERBA PROVA DI RECITAZIONE
Definire Quel che resta del giorno un semplice film in costume o sul nazismo o, ancora, una storia d’amore impossibile, sarebbe maledettamente riduttivo. Di cosa parla esattamente questa pellicola di James Ivory, candidata a ben 8 premi Oscar? Di un maggiordomo. Nient’altro che di un maggiordomo.
Un maggiordomo, però, che vive il suo lavoro con una professionalità quasi fastidiosa, che finisce per ingabbiarlo e costringerlo in un ruolo; un ruolo che apparentemente gli calza a pennello, ma da cui, in realtà, vorrebbe liberarsi. Il film delinea, soprattutto grazie alla magistrale interpretazione di Anthony Hopkins, un’introspezione psicologica estremamente curata e profonda: Stevens (questo è il nome del maggiordomo in questione) ha una visione molto seria del lavoro, e sottolinea fin dall’inizio quanto esso sia intrinseco di dignità ed onore. Perfino quando suo padre viene a mancare, egli non si scompone di una virgola e continua a svolgere il suo mestiere.
Non lascia trasparire nessuna emozione, mandando in panico la nuova governante, la quale si è infatuata di lui (e lui di lei). Anche in un momento intimo con lei, nel quale sembra poterci essere un attimo di cedimento, l’unico contatto tra i loro corpi è un travolgente scambio di sguardi, consapevole l’uno dei sentimenti dell’altra e, al tempo stesso, timorosi entrambi di fare il passo successivo.
Stevens disapprova le amicizie filonaziste del suo padrone, ma, nel frattempo, continua per la sua strada, non facendo nulla per cambiare la situazione. Non perché non voglia, ma perché non può. Non fa parte dei suoi compiti, della sua concezione del lavoro.
Vediamo, poi, come alla fine di tutto, egli si penta, ma del “giorno” resta ormai poco: si pente di non aver comunicato i suoi sentimenti a Miss Kenton, si pente di non aver detto nulla degli ospiti odiosi del suo padrone, si pente di non aver mai esternato le sue emozioni. Il suo intenso rimorso, però, non cancella il passato: Lord Darlington, il suo padrone, appunto, è stato condannato per collaborazionismo e gli viene riservato un ostracismo che lo lascia morire in solitudine, mentre Miss Kenton non tornerà a lavorare a Darlington Hall, perché non può vivere senza l’amore, esistente, ma nascosto, del protagonista. Nell’addio finale con la donna, che rivedrà dopo molti anni, Stevens non abbandona, nemmeno questa volta, il suo personaggio, ed i due si allontanano in un’amara, ma incomunicabile tristezza, nella consapevolezza di un amore ormai non più da vivere.
Pensando a Quel che resta del giorno, non vi è altro aggettivo per descriverlo se non “elegante”. Ogni scena, pure quella più banale, trasuda eleganza, raffinatezza; complice la curata scenografia, sfondo di una meravigliosa fotografia caratterizzata da un ottimo uso della luce per enfatizzare i momenti migliori. Un film lento, certamente, ma che mostra ogni sfumatura del personaggio di Stevens, il quale, secondo me, è tra i più complessi e realistici della cinematografia d’ogni tempo. Non deve essere per niente facile vestire i panni di un personaggio che si produce in una recita nella recita: è come se l’attore avesse una doppia parte in contemporanea, una delle quali, al di là dell’eleganza, cela tanta, tanta amarezza. Film indimenticabile!
Beatrice Berardelli, II A QUADRIENNALE
Articolo inviato dalla Prof.ssa Maria Felicita Mazzuca