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orestea2DA MAGGIO A NOVEMBRE: UN CLASSICO NON FINISCE MAI DI DIRE QUEL CHE HA DA DIRE.

L’attimo eterno si ripropone: il sipario si alza e rivela la fitta trama di fili che compongono una ragnatela emblematica. È la rete nelle cui maglie si raccoglie e si consuma il dramma dell’Orestea. La trilogia, rivisitata e ricomposta dalla fine, abile e perita regia di Antonello Lombardo, si dispiega lungo un tragitto ideale,

assimilabile a quel tappeto di porpora più volte citato nel corso del dialogo che intercorre tra Agamennone e Clitennestra. È una sottile ma fatale scia di sangue che segna ogni atto e si traduce in sigillo evidente del messaggio eschileo: <<Sangue chiama sangue; colpa genera colpa>>. Come ragno la regina trama e tesse; come usignolo Cassandra eleva il suo ultimo canto profetico, divenendo rondine il cui garrito è presagio di morte; come lupo paziente e famelico Oreste punta le sue prede; come aquila, che sovrasta, sorvola e volge il suo sguardo acuto ovunque, la corifea delle Erinni è presenza costante, legame tra il mondo antico e quello presente, voce della coscienza e monito per l’uomo di ogni tempo. Il suo timbro vocale, che si modula in base al contesto, fa risuonare il contenuto di parole che sono sentenze e verità universali. Il suo manto sfilacciato evidenzia propaggini di fili che sembrano espandersi e raccogliere il dispiegarsi degli eventi e dei personaggi coinvolti. Il suo dire sferzante fluisce dal greco antico all’italiano fino al suo tremante assenso rivolto ad Atena, la dea che tra bianco e oro risolve, ripristinando ordine e pace, affinché germogli bene duraturo, pronto a elargire prosperità. La linea rossa di sangue, che macchia Agamennone, Cassandra, Egisto, Clitennestra, contrasta con l’azzurro dell’atmosfera che avvolge la processione delle coefore, poi con quello del velo della Pizia e, infine, con lo scintillio aureo del dio delfico e della patrona di Atene. Dall’inizio alla fine il coro è il cuore pulsante di una trilogia simile a trama e ordito tessuti col pathos che stilla essenza gnomica e catarsi. La vedetta è l’alfa e l’omega di una vicenda che assurge all’assoluto dell’universale e si cala nel quotidiano, legando l’atemporalità del Mito all’attualità e ricordandoci che il canto tragico è verità simile a moto incessante di onde e a cerchi concentrici generati su acque lacustri.

Le lacrime e le mani pietose del sacerdote, che, solenne e ieratico, guidava le coefore, idealmente si rendono momento di raccoglimento e riflessione, per, poi, effondersi fino a pervadere della loro essenza l’atmosfera pregna di tremiti e attesa del momento che segna la metamorfosi delle Erinni in Eumenidi. È passaggio epocale che auspica la fine dello spargimento di sangue e il rifiorire della benevolenza, destinata a ispirare tutti a <<donare bene in cambio di bene>>, <<l’unico rimedio di molti mali dell’uomo>>. Il corteo, guidato da Atena, si avvia lentamente: le Eumenidi avanzano avvolte in nuovi mantelli, l’accordo tra le Moire e Zeus è sancito e nello sfavillio della luce, alimentato dalle fiaccole, si ristabilisce l’equilibrio, sebbene rimanga la consapevolezza dell’eterno ritorno sotto <<l’adunarsi degli astri, luminosi signori del cielo>>, che, sorgendo e tramontando, ricordano all’uomo il suo pellegrinaggio terreno, raccolto, in seguito, dai posteri lungo la scia di quel dolore che insegna…

                                                                                                                                          Flavio Nimpo

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