Cos'è la felicità?
Tempo fa, a scuola, la nostra professoressa di Latino e Greco ci ha chiesto cosa fosse per noi la felicità.
La mia risposta è stata:
"La felicità è dipinta sul mio viso quando apro gli occhi alla vita la mattina, mi alzo dal letto e lancio uno sguardo veloce al nuovo giorno che nasce, respirando insieme a lui e sorridendogli nella speranza che, in questo modo, anch'esso mi sorrida e non sia troppo crudele nei miei confronti.
La felicità scorre nelle mie vene quando mi preparo con la consapevolezza di avere la fortuna di andare a scuola, essere libera, a volte non pensare a niente guardando il cielo in cortile la mattina, associando alle nuvole le figure più demenziali, stuzzicando così la mia fantasia prima di affrontare le lezioni, senza troppa paura per ciò che mi attenderà nelle cinque ore successive.
La felicità sta nelle piccole cose che spesso diciamo di dover apprezzare di più, ma che, quasi mai, apprezziamo VERAMENTE."
È seguito un lungo silenzio, qualcuno ha riso, ma forse perché non aveva capito fino in fondo le mie parole... o forse perché io mi ero espressa male. A chi non capita quando cerca di esporre sentimenti forti o pensieri simili?
L’imprevisto: il mostro invisibile.
Eppure, nonostante io stessa avessi pronunciato queste parole qualche mese prima di una fra le più crudeli pandemie dell'ultimo secolo, all'inizio, quando ci hanno detto di attendere notizie ufficiali sulla chiusura delle scuole, quel pomeriggio di Marzo che sembra essere così lontano, ho esultato eccitata insieme ai miei compagni...
Sembravamo dei bambini a cui viene regalato un giocattolo tanto desiderato per il compleanno.
Eravamo "felici", sì, perchè avevamo pensato che dieci giorni a casa sarebbero serviti a tutti per riposare un po', organizzarsi meglio le prossime interrogazioni, dormire fino a tardi e... STARE A CASA.
Eravamo così ingenui e stavamo sottovalutando l'emergenza quasi come fosse inesistente. Quando, però, ci siamo resi conto di quanto grave fosse la situazione e di quanto peggiorasse ogni giorno, dopo la prima settimana stare a casa è iniziato a diventare strano, tanto da farci sperare che i restanti sette giorni passassero in fretta in modo da tornare subito a scuola. Speranza che è svanita quando abbiamo iniziato a vedere il volto di Giuseppe Conte sempre più spesso in televisione e ci è stato comunicato che siamo ufficialmente in quarantena e che tutto ciò durerà non si sa per quanto tempo.
Telegiornali, social media e radio non parlavano d'altro che di COVID-19, il mostro invisibile che ha rubato la vita a migliaia di persone e che ha complicato quella di molte altre divorando parte della loro salute fisica e mentale, separando genitori da figli che vivono distanti, rubando la libertà di molti giovani come me che prima trascorrevano la loro vita in mille modi diversi fra scuola, attività extra di qualsiasi genere e casa, quando si ricordavano di averne una.
Chi più, chi meno, io e i miei miei compagni di classe abbiamo reagito abbastanza bene inizialmente. Ci siam fatti forza a vicenda e nella mia mente, personalmente, è rimbombata,
dandomi un po' di forza, la famosa frase di Galileo: "Ogni problema è un'opportunità."
Oggi è il nove aprile e siamo ancora a casa, la situazione non sembra cambiata, anzi, forse è peggiorata. L'unica cosa certa è che ci troviamo dinanzi un immenso punto interrogativo che vaga sul nostro domani e non sappiamo quando tutto questo finirà.
Come la sto vivendo?
Viste le circostanze, pian pianino, ho deciso di crearmi un programma da seguire in cui alternare ogni giorno varie attività che mi permettano di occupare il mio tempo in modo costruttivo: ho scelto dei libri da leggere; una lista di piatti che non ho mai provato a realizzare finora, in modo da imparare qualcosa di nuovo e impegnarmi di più ai fornelli; ho scelto dei film e serie televisive interessanti da seguire; ho portato alla luce vecchi ricordi e, fra una lacrima e un sorriso malinconico, ho rivissuto momenti della mia infanzia; ho iniziato a dipingere; ho trascorso ancor più tempo in giardino, la mia salvezza, meditando e facendo dell'esercizio fisico; sono affondata nella musica, la mia cura più grande; mi sono dedicata più tempo cercando di alimentare le mie passioni, di "capirmi" di più e sto ancora cercando di migliorare molto lavorando su me stessa.
Sarebbe stato davvero controproducente spendere le mie giornate senza un obiettivo, sprecando tutto questo tempo a disposizione inutilmente.
"Sto bene, però..."
Sto prendendo questo tempo strano come occasione di crescita personale nonostante, però, nel mio piccolo, stia poco bene.
La mia mente è avvolta da una marea di pensieri irrefrenabili e il mio animo è stravolto da una valanga di emozioni che mi tormenta terribilmente. Pensare e condividere la meraviglia del silenzio da soli con se stessi a volte serve, ma quando i pensieri diventano troppi e iniziano a disturbare quel clima tranquillo che si è venuto a creare, diventa un problema. Sarà che questo periodo intensifica in modo esponenziale le nostre emozioni rendendoci più delicati, vulnerabili, sensibili... ma sento molto la mancanza di quella che era la mia quotidianità, dei miei amici, delle uscite, dei progetti, delle corse per la città, della comunità e dei miei oblati, e, soprattutto, della scuola. Infatti continuare a studiare adeguandomi alla DAD è stato doloroso, ma molto utile. Utile a studiare con maggiore cura alcuni argomenti, ma soprattutto, utile per capire una cosa fondamentale: l'importanza delle relazioni sociali.
È vero che, appunto, grazie alla tecnologia abbiamo la fortuna di stare in contatto con gli altri e sono molto stupita dal lodevole sforzo dei nostri insegnanti nel non farci mancare niente anche a distanza, lavorando molto di più per offrirci l'opportunità di studiare e non rimanere indietro col programma; ma assolutamente niente di tutto ciò è, dal mio punto di vista, comparabile con la complicità di uno sguardo, lo splendore di un sorriso, il calore di un abbraccio, arrivare a scuola e vedere facce di ogni tipo: ragazzi esageratamente già esausti, collaboratori quasi sempre allegri, il signor Luigi imbronciato per la sconfitta del Milan della sera precedente; niente è come entrare in classe la mattina e scambiare due chiacchiere prima dell'inizio dell'ora. E poi i nostri professori, la mitica LIM, chi vuol chiudere e chi aprire la finestra, i turni per stare vicino al termosifone, le risate trattenute e quelle a crepapelle, le verifiche, i battibecchi, la campanella, tutto ciò che significa fare scuola FRA I BANCHI e tutto l'affetto celato dietro ogni piccolo gesto.
In fondo, l'affetto è una forma di presenza, vuol dire esserci, così come il tatto: il tatto significa essere vicini e mai nessuna forma virtuale potrà sostituire tutto questo.
In questi giorni mi capita sempre più spesso, alla fine delle videolezioni, dopo aver visto i miei compagni e insegnanti solo tramite uno schermo, di rimanere in silenzio.
Un lungo silenzio capace di rendere sordo il mio animo e cieca la mia mente, facendomi pensare solo a quanto siamo precari.
Per un secondo è come se mi crollasse il mondo addosso e non riuscissi a rendermi conto: è davvero reale ciò che sto vivendo o è solo un brutto sogno? Ma poi mi ricompongo, nonostante realizzi che, sfortunatamente, è tutto vero, e ritorno a fare ciò che meglio posso per pensarci il meno possibile.
Positivo nel negativo.
Però credo e soprattutto spero che stare "forzatamente soli" ci stia servendo tantissimo... o almeno dovrebbe, visto il dispiacere che provoca, almeno nel mio caso.
Così, forse, potremo comprendere quanto siano realmente fondamentali le piccole cose: a volte ci comportiamo come se tutto ci fosse dovuto senza renderci conto che, appunto, poter godere della nostra libertà, andare a scuola, avere degli amici e poterli frequentare spesso, avere una casa dove poterci rifugiare, in fondo, è solo un caso e un grandissimo privilegio. E noi dovremmo apprezzare tutto questo e custodirlo come il più prezioso dei doni.
Anche le brutte giornate che viviamo sono necessarie.
Ci insegnano a gioire di quelle belle.
La vita in fondo non è altro che una montagna russa: sarebbe una noia se fosse solo una lunga linea retta, no?
Purtroppo l'essere umano "s'accorge del corpo solo quando gli duole": tende a comprendere il vero valore delle cose solo quando non le possiede più, ma dopo questa "quarantena" sono sicura che saremo tutti più felici delle piccole cose, empatici, uniti, magari più distaccati dal cellulare e pronti a goderci di più la presenza di chi ci sta vicino con una buona dose di buon senso, maturità e responsabilità in più. Basta tener duro e, nel nostro caso, resistere rimanendo a casa, impegno che richiede uno sforzo minuscolo se pensiamo a quello compiuto ogni giorno dai medici, dalle forze dell'ordine e da chiunque rischia la pelle in questo momento difficile e delicato. Restare a casa è l'unico modo che abbiamo per sconfiggere il “il mostro invisibile” e possiamo farlo anche pensando che, un giorno, ci abbracceremo di nuovo, ma come non mai, ritornando ad essere migliori e più forti di prima. Almeno è quello che più desidero in questo momento: essere felice.
LAVINIA TATU, IV E