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L’ARTE COME PROBLEMA SPECIFICO DELLA RIFLESSIONE FILOSOFICA

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Mezzi incantatori che intrappolano le menti. Come muse, anzi come sirene ipnotizzano i nostri occhi e controllano i nostri sentimenti. Conosciamo fino in fondo noi stessi? O una lacrima potrebbe cadere inaspettata, una volta posti di fronte ad essi?

L’incertezza, in fin dei conti, è la parola per il nostro tempo. L’arte fa da balsamo alla nostra esistenza e ci offre una visione illusoria, armoniosa e ordinata della vita. Dunque l’arte è apollinea? La vita ha molte sfumature e, di conseguenza, essendo l’arte, secondo Platone, riproduzione e imitazione di essa, potremmo dedurre che non è sempre ordinata e lineare. Non sempre è luce, non sempre è cura e per certo non è il luogo in cui nascondersi, per sfuggire dall’inquieto, quasi dimenticandosi di vivere. È, dunque, negativa, come sosteneva Platone, essendo un’imitazione della realtà? Porta l’uomo lontano dalla verità? Lo rende incapace di essere razionale e quindi di utilizzare la ragione? La ragione, la ragione, il mezzo più importante. Ma a che serve la ragione in questo mondo? 

Anime apollinee in cerca di ordine e anime dionisiache, che necessitano caos, mistero, necessitano di assaporare l’ebbrezza dell’infrazione, del rischio, di qualcosa che possa smuovere il loro essere. Il mondo sarà sempre un groviglio di idee, non saremo mai tutti apollinei. È una dualità inestinguibile. Secondo Nietzsche, la sintesi di queste due anime porterebbe alla tragedia greca. Anime che risiedono nell’arte stessa e la dominano, donandole aspetti opposti e complementari. L’apollineo controlla, ad esempio, la scultura e tutto ciò che è caratterizzato da equilibrio, il dionisiaco è nella musica, nella natura e in ciò che presenta un po’ di mistero. L’apollineo è la luce, il dionisiaco il buio. L’apollineo è una fuga dal caos della realtà, cerca di rendere accettabile la vita. Per Socrate, la soppressione dell’istinto dionisiaco porterebbe finalmente l’uomo alla sua vera essenza: la ragione. 

Quindi il problema è il dionisiaco?  Ma, allora, per quale motivo l’uomo sarà sempre attratto da quest’ultimo? Citando Dostoevskij, “A volte l’uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza” (Delitto e castigo). Secondo Nietzsche la vita è in sé irrazionale, dunque la ragione non è altro che una forzatura della natura radicata costantemente nel profondo degli uomini. È un modo di reprimere il panico causato dal caos. In fin dei conti non conosciamo nemmeno noi stessi, come possiamo analizzare perfettamente il mondo in modo razionale e ragionando in maniera concreta e definitiva? L’arte mette alla prova noi stessi, di fronte al bello, all’ipnotizzante, la nostra razionalità rimarrà impassibile? Il dipinto “La riproduzione vietata” di René Magritte, ritrae un uomo di spalle che si guarda allo specchio, ma non riesce a vedersi in volto. Continuerà ad osservarsi le spalle, la nuca, le scapole. Non potrà mai sapere se quello che sta guardando è sé stesso, oppure una volta voltatosi ci sarà un estraneo che indossa i suoi vestiti. Costui è tutti e nessuno. Noi stessi siamo tutto e nessuno. Non sappiamo se a girarsi saremo noi o un volto distorto che ci assomiglia. Ma noi, in fin dei conti, siamo quelli che guardano lo specchio o l’estraneo che si gira? Ecco, l’arte porta a conoscere aspetti nuovi di noi, che ci rappresentano meglio di quelli che già conosciamo. Ci mette a nudo di fronte la tempesta che è la vita e non ci fa capire dove finiamo noi e dove inizia la nostra nuova parte. Anzi, ci devia dallo scoprire da dove iniziamo, ma ci aiuta a comprendere con cosa lo facciamo. 

Un senso di incompiutezza perseguita il genere umano, riusciremo mai a raggiungere la completezza? L’arte, per mia opinione, è il mezzo necessario per avere una visione completa dell’esistenza. Ci rende abili di inglobare l’apollineo e il dionisiaco in una perfetta armonia, facendoci assaporare la nostra vera e naturale essenza. In fin dei conti considerare il dionisiaco come negativo è solo un modo per giustificare il bipolarismo umano. Non esistono modi per entrare in contatto pienamente con le altre persone, i veri pensieri sfuggono e ci si ritrova chiusi fuori a chiave, estranei, ciechi alla vista dell’uno e dell’altro. L’arte, la musica, il bello, ciò che ipnotizza, ciò che è estetico, è una delle principali cose che ci accomunano. Accomunano noi stessi agli altri e noi stessi a noi stessi. Forse, in realtà, è solo un modo per convincerci e sentirci liberi. Ma che male c’è in ciò? Nessuno, assolutamente nessuno. 

Non c’è bisogno di un ragionamento per capire cosa è bello, il punto della questione è questo. Si sa e basta, è come se fosse un elemento dogmatico, è così perché è così, non ci sono percorsi razionali dietro. Lo sentiamo nel profondo. Non serve la ragione. Ciò ci rende leggeri, liberi. Diventa l’ancora con cui fermare la barca che altro non è che la vita. E rende il nostro viaggio più lungo, offrendo un momento di riposo dal manovrare il nostro timone, e rende la traversata un viaggio di piacere e ci accompagna fino all’arrivo in porto attirati dal faro.Se la vita è una barca, la morte è un faro. Non è anche questa una forma d’arte? È nascosta ovunque, ovunque noi stessi riusciamo a coglierla. In conclusione, ritrovo me stessa in Schopenhauer: “l’individuo conoscente si eleva a puro soggetto del conoscere libero dalla volontà” e l’arte diventa così “oblio di ogni individualità, abolizione della conoscenza legata al principio di ragione”.

                                                                                                                             Martina Giuliani, III A Quadriennale

Articolo inviato dal Prof. Flavio Nimpo

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