DANTE: POETA DELL’UMANITA’
Elaborato premiato per la Sezione Letteraria Regionale “Piramide Aurea” al Concorso dell’Associazione Culturale “G. Logoteta” XVI Ed., 2022
Non c’è altra opera nella storia della letteratura italiana nella quale una società intera si rifletta con tanta compiutezza e straordinarietà. La Divina Commedia è l’opera più grande che il mondo della letteratura abbia mai visto.
Dante si può definire per questo maestro dell’umanità grazie alla sua nobile capacità di guardare con lo stesso interesse alle cose più alte e alle più basse. Agli aspetti più nobili e quelli più vili che riguardano l’uomo. È in questo aspetto il senso più significativo e alto dell’opera. Dante fu uomo di vastissima cultura enciclopedica e per di più capace di sintetizzare in una costruzione organica elementi presi da discipline diverse: questa gerarchia ordinata di creature è, nello stesso tempo, metafisica, fisica, morale e politica. Da ciò la potente unità del poema: un’unità che nessun altro poema ha più avuto, perché nessun altro uomo ha vissuto più una tale cultura unitaria. Questo carattere di organicità che distingue la Divina Commedia apre al lettore una vastità di mondi che sottolineano la grandezza del creato in cui l’uomo viene descritto in tutti i suoi aspetti in modo attento, rigoroso e ampio, aspetti che solo un osservatore acuto ed erudito come Dante riesce a cogliere. Già lungo il Medioevo latino e il Duecento volgare erano state frequenti opere che pretendevano di correggere gli uomini mostrando le pene dell’Inferno e le gioie del Paradiso, ma la differenza con Dante è che egli si adopera per questo genere e per le sue strutture con una diversa forza intellettuale: il suo viaggio verso l’oltretomba serve a lui individuo per liberarsi dal male e giungere alla contemplazione di Dio e, al contempo, serve a dare coscienza ai lettori di ciò che è il mondo liberato dai condizionamenti terreni. Ecco, allora, che i criteri di giudizio e i valori dominanti nel mondo corrotto del tempo si capovolgono e gli uomini si svelano non quali apparirono per dignità di carica, ma quali effettivamente furono e sono per il loro grado di spiritualità: papi possono essere visti torcersi nelle fiamme infernali, mentre una meretrice può esultare nella luce dei cieli. Allo stesso modo, affetti e moti dell’animo si svelano anch’essi nella loro realtà, al di là di ogni mistificazione dell’intelletto e dell’arte. Così l’amore, se non regolato dalla ragione, apparirà un vento turbinoso che travolge nel peccato e nella dannazione chi gli si abbandoni. Dante sogna utopicamente una società che crede estinta e la proietta nel futuro; egli dà del suo tempo una forte rappresentazione drammatica, ma lo descrive in una sintesi perfetta quale nessun altro uomo di quella età ha osato nemmeno tentare.
La Divina Commedia è un lungo viaggio alla scoperta non solo del mondo ultraterreno, ma anche una scoperta dell’animo umano, dei suoi difetti, vizi, dei suoi mali e insieme anche dei suoi sentimenti più nobili e alti. È per questo che Dante è il poeta dell’umanità e non poteva che realizzare opera più straordinaria e significativa che riguardasse l’uomo. È importante anche sottolineare che dalle vicende dolorosamente agitate, maturò in Dante una sua concezione del mondo che era insieme politica, religiosa e morale. Egli si sentì sconfitto e sopraffatto dal nuovo modo di pensare e di vivere; infatti avvertì quanto di umiliante stava scorrendo nella società e quanto era diventato amaro il mondo, pieno di corruzione, avarizia e cattiveria. Un mondo in cui esiste solo il denaro, il vizio, in cui l’uomo viene divorato dal potere pensando di poterlo dominare. Così sconfitto e frustrato, Dante, come in situazioni simili accade a spiriti magnanimi, accolse queste sconfitte e queste frustrazioni accettandole con fermezza e razionalità: infatti scrisse “Cader coi buoni è pur di laude degno” affermando anche la dignità di essere dolorosamente solo nell’affrontare queste sofferenze. E nello stesso tempo collegò la sua sconfitta individuale al crollo di tutto un sistema e si rese esempio emblematico di ciò che gli era accaduto e accadeva nel mondo. È questo un aspetto importante del Sommo Poeta, la sua universalità, il passaggio dall’individuale al collettivo, la grande sensibilità di un animo inquieto e sofferente. Perciò si vede nel poema come dal dolore possa nascere la meraviglia, la grandezza: la Divina Commedia è anche un inno alla resilienza, al coraggio di affrontare gli affanni dell’animo umano. È un viaggio verso la libertà che fa capire al lettore l’importanza del percorso, non della meta in sé e di quanta sia lunga e faticosa la strada verso una vita migliore. Dante insegna che ogni uomo davanti alle ingiustizie si ritrova solo, ma che la sua forza può ripartire proprio da questa solitudine. La “selva oscura” in cui“la diritta via era smarrita” sembra rappresentare la vita dell’uomo che non è altro che un luogo buio e disagevole nel quale prendere la strada giusta presenta molta difficoltà.
È quasi impossibile, dunque, descrivere Dante e la sua opera con degli aggettivi. Lo spessore morale, etico, politico, religioso del poema è tale da lasciare il lettore stupito e capace solo di accogliere dentro di sé l’ecletticità di Dante e la magnanimità della sua opera.
Ecco, quindi, che il “trasumanar” dantesco a cui l’uomo è chiamato per l’eternità prende forma con la lettura della Divina Commedia. Il lettore aderisce ad una dimensione divina, sfiora il cielo con un dito e oltrepassa i limiti umani. Avviene il passaggio in cui si dipanano le tappe progressive delle coscienze umane e delle scelte. Grazie al viaggio impossibile che Dante invita a compiere, si può provare a vedere se in tutto questo, alla fine, qualcosa possa davvero cambiare nel profondo, nel singolo io e nel collettivo noi.
Emma Giacoia , IV A QUADR
La Natura nella Divina Commedia: la “figlia del divino” che si traduce in “poliedrica” creatura
Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante
Qui veggion l'alte creature l'orma
de l'etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
Nell’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro ve men vicine.
Par. I,103-111
<<Tutte le cose hanno un ordine tra di loro, e questo è il principio che rende l’universo somigliante a Dio. Qui le creature superiori riconoscono l’operato divino, che è il fine per cui si è dato l’ordine di cui si è appena parlato. A quest’ordine partecipano tutte le cose create, che, secondo la loro inclinazione, sono più o meno vicine a Dio, loro principio>>.
Ad esplorare e studiare il meraviglioso capolavoro del nostro Dante Alighieri non basterebbe una vita intera ma, ripercorrendo gli svariati argomenti affrontati nella Commedia, ho reputato estremamente interessante e certamente meno noto un tema della cultura dantesca: l’attenzione di Dante per l’ambiente. E bastano pochi endecasillabi, come inizialmente riportati, per riprendere così la trama di uno dei fili narrativi dell’enciclopedico poema, la natura ed il rapporto dell’uomo con essa. Nella disamina dell’opera spesso ritroviamo il Sommo Poeta abbandonarsi a minuziose ed accurate descrizioni su fenomeni naturali, dal movimento degli astri alle macchie della luna, dai fenomeni geologici al comportamento degli animali, dal moto relativo alle molteplici manifestazioni associate alla luce, esplicitando così un’attenzione mirabile per l’ambiente. L’elemento centrale di studio per Dante rimane l’Uomo, signore della Terra, ma sempre visto, in tal caso, come soggetto chiamato ad agire nei confronti delle risorse naturali a beneficio della comunità. Per Dante le cose rispondono ad un assetto ben preciso che regola la totalità del reale. La luna, le stelle, gli alberi, gli animali, le pietre, ogni creatura rispettano un rigoroso ordine cosmico che induce la natura ad essere generata in funzione di un preciso scopo. Questo principio profondo, generativo, ardito è rappresentato dalla mano del Creatore che tutto può.
Dio, creando l’Universo lascia in esso la Sua essenza. Ogni particolare, dunque, è significativo, in quanto esso risplende l’eterno valore del Supremo e, di conseguenza, è degno di essere osservato e conosciuto. Da qui il fervido interesse del Sommo per l’astronomia, la geografia, lo studio del cosmo e, al contempo, per l’osservazione degli elementi naturali come i minerali, la distribuzione dell’acqua nel territorio, gli animali. Tuttavia Dante è e rimarrà per sempre il Poeta per eccellenza che non può che descrivere i vari fenomeni naturali, dipingendoli con la sua unica e meravigliosa scrittura: pennellate di pura poesia.
La natura così, oltre ad essere “figlia del divino”, per il Sommo diventa, quindi, non solo fonte d’ispirazione poetica, ma terreno fertile in cui testare le sue competenze di carattere scientifico, il luogo da cui partire per potenziare le proprie capacità di osservazione, per individuare l’evoluzione delle molteplici manifestazioni della Natura stessa e per diffondere e condividere le proprie conoscenze con il volgo. In questi momenti poetici, Dante si sveste dei panni logori e consunti del peccatore-uomo terreno ed indossa gli abiti dell’attento ricercatore, risplendenti della luce immaginifica dell’intero creato e nella sua visione cosmologica tocca il vertice di quell’aspetto della sua genialità, che potremmo definire “pre-scientifico”. Un metodo, tutto dantesco, di coniugare l’arte poetica nel trattare temi scientifici con il puro dato analitico, frutto di studio e meditazione.
Lo sguardo di Dante al mondo naturale è, pertanto, ben diverso dalla nostra mentalità moderna. La descrizione, che i contemporanei propongono dei fenomeni fisici, si arresta ad un freddo ed analitico studio oggettivo. Esso, infatti, come il metodo storiografico, non lascia trapelare alcuna forma espressiva della sua magnificenza.
Il cuore, però, della ricerca di Dante è sempre l’Uomo e quanto al rapporto Uomo- Natura questo si potrebbe distintamente cogliere in vari versi della Commedia. Quello per me, forse, più significativo è quello in cui il viandante esce dalla cupa e terribile realtà infernale e riconquista la visione del “dolce color d’oriental zaffiro/ che s’accoglieva nel sereno aspetto/ del mezzo, puro infino al primo giro”(Purg. I,13-15).
Svariati gli esempi a dimostrazione della ferma connessione dell’Uomo al Creato e, quindi, al suo Creatore. Il superbo penitente dell’XI canto del Purgatorio, il conte Omberto Aldobrandeschi, che riconosce la necessità di ricordarci che siamo figli tutti di una comune madre, la natura, la terra; il santo che meritò il premio divino, nel suo farsi pusillo, piccolo ed umile, Francesco, ricordato con questi termini da San Tommaso d’Aquino ai versi 110-111 del canto XI del Paradiso, ricordando che per il proprio corpo, il santo assisiate non volle altra bara che la nuda terra, per sancire il legame indissolubile con l’ambiente naturale, dal quale nasciamo e al quale torniamo.
L’Uomo dantesco, perciò, nel suo viaggio per la vita è chiamato dalla sua coscienza a porsi domande e ricercare risposte. E la consapevolezza umana di essere un tutt’uno indissolubile con il creato può permettere all’Uomo di ristabilire un equilibrio appagante e sereno tra la vita terrena, corpo e anima, ed il mondo ultraterreno. La Natura, quindi, donna e madre, diventa un ponte da percorrere per arrivare alle “alte vette”, l’unica strada conoscibile, che porta alla sapienza del Creatore, alla “gloria di Colui che tutto move per l’universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove.” (Par. I, 1-3).
Ritroviamo, però, in Dante anche su questo tema, un tratto profetico. Nonostante sia figlio del suo tempo, dove il senso intrinseco della gerarchia permea tutti gli aspetti della vita, Dante riconosce nella Natura e soprattutto nel rapporto che l’uomo ha con essa, connotati per noi contemporanei, elementi positivistici e illuminati, che proiettano un lettore vivace e curioso, verso un piano parallelo dove Uomo e Natura coabitano. E da questo assunto prendono vita gli odierni dibattiti sull’ecologia e la sostenibilità. La Natura è sì sovrana ma tanto quanto l’Uomo?
Dante riformula, quindi, il concetto della permanenza dell’Uomo sulla terra che è temporanea, un tratto di tempo chiamato vita, in attesa di quella eterna nel Paradiso. La Natura in terra, perciò, rappresenta la perfezione e la bellezza della mano di Dio e ciò che Dio ha creato non può e non deve essere alterato. Una visione, quella di Dante nella Divina Commedia, che potrebbe assimilarsi a quella dell’oggi, dove lo sviluppo sostenibile si prefigge, come obiettivo da raggiungere e condividere tra i popoli, l’equilibrio e l’armonia tra crescita economica, uomo e ambiente.
Dante vede un preciso significato nell’ordine delle cose nella natura e nell’ambiente, una gerarchia che potremmo ben definire sostenibile. Un ordine che, invece, nella nostra epoca si è perso di vista, con conseguenze ambientali disastrose ed allarmanti. Lo sguardo di Dante verso la natura è colmo di stupore e di meraviglia, quella da noi dimenticata. E con molto affanno, pur continuando a ricercare la bellezza del creato, non abbiamo ancora compreso la sofferenza di un pianeta, che stiamo consumando, in tutta la sua magnificenza e ricchezza.
Se Dante fosse in vita oggi e fosse finito nel suo Inferno, come Farinata degli Uberti, “dalla cintola in su” si ergerebbe dalla sua tomba ad inveire contro i nostri governanti sul troppo poco fare a salvaguardia del nostro pianeta. La legge del Contrappasso di Dante sembra adattarsi perfettamente a ciò che sta accadendo ai nostri tempi e per contrasto siamo chiamati ad un’ espiazione.
Costretti a trasformare in modo radicale i nostri stili di vita, rinunciando a tanti cattivi comportamenti ormai connaturati, anzi quasi naturali, ma assai dannosi per la natura.
Meriteremmo, noi, genere umano, questa punizione. Un sovvertimento completo e risolutivo per arginare inquinamento, sprechi ed altre malefatte ambientali. E così come avviene nelle sette cornici del Purgatorio, dove le anime devono sanare le proprie colpe e purificarsi, così per noi questa fase di transizione ecologica che, seppur lentamente, pare che sia incominciata.
Alcune coscienze, ma ancora troppo poche, si sono risvegliate a salvaguardia dell’ormai tanto logoro rapporto Uomo-Natura, ma il cammino è lungo e dovremmo noi vestire gli abiti luminosi del Sommo Poeta, per ritrovare quell’equilibrio e quell’armonia con Madre Natura, che l’uomo ha compromesso con la sua avidità.
Solo quando le anime saranno perfette, com’erano in principio, potranno poi accedere al Paradiso. Ed il Paradiso in principio era terrestre. Sarà l’Uomo capace di ricostruirlo quaggiù, con la mente, però, sempre rivolta all’immenso Universo, sarà l’Uomo capace di rinnovare la sua dimensione di creatura, nella gerarchia sapiente del creatore? Ancora una volta anche su un argomento così controverso e delicato e quanto mai contemporaneo, riscopriamo la grandezza di Dante e dei suoi versi, sempre imperituri, per sempre vivi e salvifici. Noi, esseri piccoli ed imperfetti, forse un giorno chiederemo la sepoltura santa nella nuda terra delle nostre membra finite e delle nostre menti fragili ma la lezione sulla Divina Commedia e su Dante non morirà mai.
Eleonora Rizzo, IVA Quadriennale
La Commedia come bisogno di abbandonare la materialità per volgersi alla dimensione spirituale
Dante è sicuramente una creatura medievale, calato com’è nella realtà storico-politica e culturale del Trecento. Egli visse in prima persona le lotte tra gli opposti partiti dei Guelfi e dei Ghibellini, che dilaniavano il Comune di Firenze, e si inserì nel quadro più vasto della lotta tra Papato e Impero, ponendosi nella fazione dei Guelfi di parte bianca, che sostenevano il Papa. Pagò in prima persona le conseguenze della sua passione politica con l’esilio e con il conseguente e doloroso peregrinare da una corte all’altra, vivendo dell’ospitalità di vari signori dell’Italia centro-settentrionale. Per quanto concerne l’aspetto culturale e letterario, diventò amico dei maggiori poeti del suo tempo, come Guinizzelli e Cavalcanti, aderì alla poetica della scuola stilnovista, destinata ad avere ampia risonanza nell’ambiente colto dell’epoca. E, secondo i canoni di quella scuola, cantò l’amore per Beatrice con grande delicatezza, presentandola come un essere dall’animo puro e nobile, simile a un angelo, capace di avvicinare l’uomo a Dio. Tutte le sue opere sono espressione della cultura medievale: dalla Vita Nova, in cui canta l’amore per Beatrice come mezzo di elevazione spirituale, alla Monarchia, in cui illustra la teoria dei “due Soli” che illuminano il mondo, e cioè l’imperatore, che deve assicurare il benessere temporale , e il Papa, che deve assicurare quello spirituale; dal Convivio al De vulgari eloquentia, in cui affronta il problema della lingua. L’opera, in cui riesce a rappresentare compiutamente la visione del mondo, propria del suo tempo, è la Commedia, che sicuramente riflette le conoscenze dell’uomo medievale secondo le arti del Trivio e del Quadrivio, ma è anche vero che contiene valori universali di ordine politico, religioso, morale, che ne fanno un’opera di straordinaria modernità. Aldilà del significato simbolico e allegorico, che la caratterizza, il viaggio immaginario attraverso i regni dell’oltretomba rappresenta il percorso dell’anima dell’uomo di ogni tempo che, quando si ritrova smarrito nella sua condizione di solitudine e di perdizione, sente il bisogno di redimersi, di purificarsi, di uscire dal regno delle tenebre per arrivare al regno della luce e dello splendore. Il percorso spirituale è lungo e difficile e, se Dante, come ogni uomo che si accinge ad intraprendere un’esperienza di tal genere, non avesse il supporto delle sue guide, Virgilio, che rappresenta la ragione, e Beatrice che rappresenta la fede, non potrebbe arrivare con le sole sue forze alla meta.
Al di là dell’incredulità, che suscita la lettura della Commedia, per il fatto che mente umana abbia potuto concepire un’opera così vasta, complessa e profonda (definita da alcuni studiosi “la più grande cattedrale della parola”), quello che più colpisce è la sua modernità, la sua attualità.
Mi piace, in particolar modo, fare riferimento ad alcuni esempi dell’Inferno che, per la plasticità delle immagini, è la cantica che più s’impone all’attenzione del lettore. Penso al canto di Paolo e Francesca, i due amanti uccisi dal marito di lei Gianciotto Malatesta.
Certo Dante per il suo rigore morale non può fare altro che condannare le anime dei due innamorati tra i lussuriosi, perché si lasciarono travolgere dalla passione illecita, ma, nello stesso tempo, è combattuto dalla comprensione della loro colpa, come se essi non avessero potuto sottrarsi alla potenza di Amore e per questo assegna loro un “privilegio” (benché, secondo la lettura del loro contrappasso, ciò sia segno di un maggiore attaccamento alla loro condizione peccaminosa di pervicace passione): nell’Inferno, che è il regno della divisione e della disgregazione, Paolo e Francesca procedono sempre insieme “quali colombe dal disio chiamate”. Parla Francesca, ma è come se parlassero entrambi. Per non dimenticare che il marito tradito è condannato nel fondo della voragine infernale, nella Caina, tra i traditori dei parenti, quasi che fosse rimasto “scornato”, perché con quel pugnale con cui, uccidendoli, aveva inteso separare i due per l’intera vita, in realtà li aveva uniti per l’eternità.
È una storia tragica, all’ascolto della quale Dante prova tanta pietà da perdere i sensi. E non si avvicina, forse, per alcuni aspetti a tante storie di femminicidio che balzano drammaticamente alla ribalta dei nostri giorni? Pensiamo, poi, al “folle volo” di Ulisse che, dopo la guerra di Troia, anziché tornare nella sua patria ad Itaca, preferì continuare la sua navigazione e, spinto dalla sete di conoscenza, osò addirittura oltrepassare le Colonne d’Ercole, che segnavano il confine del mondo allora conosciuto. Ancora oggi il rapporto scienza e fede naturale e soprannaturale, ricerca del sapere e morale sono temi dibattuti.
L’uomo, fin dalle origini, ha sempre cercato di conoscere meglio il mondo in cui viveva, spinto non soltanto dalla necessità, ma anche dallo spirito di avventura. La curiosità lo ha portato talvolta a sfidare i limiti posti all’esperienza umana. E ciò che doveva essere qualcosa di coraggioso ed esaltante ha manifestato, invece, il desiderio di conquista e di possesso e la devastante volontà di sfruttamento, che hanno creato gravi conseguenze per la vita dei popoli tecnologicamente meno evoluti. Tanto altro si potrebbe aggiungere per evidenziare la modernità di Dante e l’attualità della sua Commedia, perché, comunque, c’è sempre nella vita dell’uomo un momento, in cui si avverte il bisogno di spogliarsi dei lacci della materialità e di volgersi verso una dimensione di spiritualità.
Questo mi ha colpito! Andare oltre significava andare verso l’ignoto, ma anche sfidare quei limiti imposti da Dio all’uomo.
Giulia Grasso, IV A Quadr
Il potere del silenzio: dialogo con Dante
«Cosa ti ha colpito di più del mio viaggio tra l’umano e il divino?», mi chiese Dante, osservandomi dritto negli occhi e provocandomi un certo senso di dubbio e insicurezza ma, a pensarci meglio, non ricordo come fossi giunto fino a lui.
«Cosa ti ha colpito di più del mio viaggio tra l’umano e il divino?», mi chiese nuovamente, avanzando con un passo verso di me, e, tanto più si avvicinava, tanto più avevo modo di scorgere nelle sue pupille la meraviglia dell’universo. Questa meraviglia era simile ad una fiamma, ma non fatta di solo fuoco, bensì arricchita con l’acqua; codesta meraviglia creava luce ma non abbandonava nessun ombra; ogni sensazione era un richiamo verso una giusta via, ma non lasciava pentimento per gli errori commessi.
La sua bocca pronunciava parole che erano pari al miele e al latte, ma con codesta dolcezza fu capace di scorgere nell’anima dei cuori più aspri e castigati: cuori di amanti erranti nella dannazione della carne, cuori delusi dalla politica dell’universo, cuori travagliati dal rimpianto di una vita.
Tali parole furono fonte di pace, capace di ammansire anche le anime più sagge dell’ultrasensibile di quaggiù e di Lassù.
«Il tuo silenzio», risposi. «Il mio cosa?», mi domandò confuso Dante; allora gli risposi così «O caro Dante, il tuo silenzio è ciò che mi ha maggiormente colpito nel tuo viaggio …», e continuai: «Ogni episodio divino viene oggi mostrato dagli antichi e dai moderni con ricche descrizioni guidate dalla ricerca di fama e approvazione dell’altro, accompagnata da un’erudizione stolta e contorta, mentre il tuo “trasumanar” fu unico nel tuo ascolto.
L’ascolto … azione assai umile quanto la più saggia! Oggi lo stolto viene paragonato al muto … qual errore più grave! Tu, o Dante, mi hai mostrato la potenza dell’ascolto e del silenzio.
Come potrebbe un uomo comprendere ciò che sta dentro e fuori di sé, se non udendo ciò che risiede dentro e fuori di sé, pari ad un pargolo che ode le affannose parole del padre e a cui dona emozione e importanza? Tu, o Dante, ti sei mostrato pargolo di fronte agli spiriti, maligni e benigni, affinché riuscissi a mostrare ciò che è il reale dello spirito e non la sua illusione vana e ingannatrice.
Ti sei interrogato, alcune volte ad alta voce ed altre in silenzio: e proprio nell’ultima di esse ti sei contraddistinto e hai trovato le migliori risposte ai dubbi, alle paure e alle speranze.
Ogni parola scritta nella tua Commedia “Divina”, o Dante, si trasforma in adito di spirito ed emozione, capace di abbattere, seppure per qualche istante, quel che è la barriera tra l’uomo e il divino, tra l’uomo e la sua dannazione o la sua salvezza. Le tue pagine bianche sono simili ad un pentagramma universale, sul quale hai tessuto le note della nostra esistenza e “non-esistenza”, e pari ad un maestro hai diretto l’opera d’uomo verso una coscienza più consapevole e capace di discernere il bene dal male, lasciandogli il grande dono della libertà per il proprio destino.
Questo è ciò che mi ha maggiormente colpito del tuo viaggio tra l’umano e il divino e in questo “naufragar” nelle tue parole d’assoluto s’annega il pensiero mio o Dante».
Alessandro Francesco Cersosimo, IV A QUADR
Testi proposti dal Prof. Flavio Nimpo