QUANDO LA LETTERATURA CI ATTRAVERSA...
Gli adulti non ci capiscono. Penserete sia un pensiero puerile, una cosa da adolescente da dire, ma è pur sempre la verità. Gli adulti non ci capiscono. Non vogliono capirci. Non si sforzano di capirci. Accade perché hanno dimenticato com’era l’adolescenza. Beati loro, direi. Tuttavia non li biasimo.
Noi ragazzi siamo complicati, abbiamo tanti problemi, che, ovviamente, il mondo degli adulti finge di non vedere. Pensate che vergogna sarebbe per loro ammettere che i ragazzi hanno problemi, demoni, situazioni più ardue e complicate delle loro. E invece, l’idea della nostra fine ci ossessiona costantemente, perché proprio nell’adolescenza si è più vicini che mai ai sentimenti di morte. E questa è una realtà inconfutabile, che si tenta di nascondere, o, peggio, crescendo, di rimuovere e dimenticare.
Haruki Murakami, però, è forse l’unico adulto che non ha dimenticato cosa significhi essere giovani. “Nel pieno della vita tutto ruotava intorno alla morte” afferma nel suo Norwegian Wood, pubblicato nel 1987. Mi trovo sul mio letto alla calda luce del primo pomeriggio quando mi imbatto per la prima volta in quest’affermazione. All’istante mi congelo. Rileggo la frase così tante volte da stamparmela in testa.
Con una prosa limpida, chiara, scorrevole, Haruki Murakami scrive un libro potente, destinato a segnare profondamente le sorti della letteratura giapponese, diventando, oltre che un best seller, uno dei più grandi romanzi di formazione di tutti i tempi.
Norwegian Wood è lo specchio dell’adolescenza e del periodo immediatamente successivo a essa: lo smarrimento dei vent’anni. Erotismo, morte e amore si intrecciano e danno vita a una profonda riflessione, che riesce a colpire nel profondo l’animo del lettore. Il libro ha, inoltre, il grande pregio di essere una denuncia sociale, poiché vuole mettere in risalto il fenomeno sistematico dei suicidi in Giappone.
Qualsiasi cosa Murakami descriva è intrisa di malinconia, sia essa una passeggiata di domenica, una normale conversazione o una scena di sesso. L’autore riesce a cogliere la profonda infelicità della gioventù, quel sentirsi smarriti, la difficoltà dei rapporti umani, la fragilità della salute mentale, senza mai strafare o cadere nella banalità.
Accompagnato dalle indimenticabili note dei Beatles (il titolo rimanda all’omonima canzone), ci fa immergere nella fioca luce della fine degli anni Sessanta del secolo scorso e della sua gioventù bruciata, un mondo così lontano dal nostro, eppure ancora profondamente attuale; perché anche se cambiano i tempi, i sentimenti, le paure, i dolori umani rimangono gli stessi.
Il protagonista, Toru, è stato paragonato a Holden Caulfield, con il quale condivide senz’altro l’odio verso ciò che è astrusamente fasullo e la perenne indecisione, sebbene il suo personaggio sia decisamente meno dinamico del giovane del romanzo di Salinger. La sua figura è infatti oscurata da quelle di Naoko e Midori, le quali rivestono un ruolo certamente più rilevante, tanto da poterle quasi definire le vere protagoniste della storia. La prima è una ragazza taciturna e introversa, che tende ad allontanarsi da chi ama, la seconda è invece spumeggiante, spudorata, moderna per la sua epoca. Nonostante la loro estrema diversità, entrambe risultano ipnotiche e affascinanti, così reali da divenire quasi palpabili, con il loro personale modo di essere, agire, pensare e vedere il mondo. Sembrano essere le due facce opposte di una stessa medaglia: un passato tumultuoso legato alla famiglia e alla morte, ma differente è la maniera in cui è stato affrontato. Toru, come il lettore, si divide tra loro due, indeciso su chi delle due scegliere, ma, in fondo, sa bene che una è il futuro e l’altra è il passato, una è il giorno e l’altra è la notte, una è la vita e l’altra è la morte.
Ogni romanzo mi ha donato un’emozione unica, ma Norwegian Wood, nella sua semplicità, è andato oltre: niente per me è paragonabile a quei momenti eterei che racconta in piccoli frammenti di felicità, a quella penetrante malinconia che sgorga da ogni pagina, a quei personaggi così reali da farmi affezionare a loro come se li conoscessi nella mia quotidianità, a quei genuini desideri carnali mai volgari ma, contemporaneamente, mai velati; il tutto avvolto da quell’opprimente senso di vuoto che ti trascina con sé per tutta la vicenda e che non ti abbandona nemmeno una volta conclusa.
Beatrice Berardelli, 2^ A QUADR
Articolo inviato dalla Prof.ssa Amelia Rovella